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giovedì 5 dicembre 1996

Cerro Piergiorgio, "Esperando la cumbre", prima salita

Seconda volta in Patagonia e torno con Maurizio Giordani per finire "Gringos Locos" dopo che avevamo lasciato tutte le corde fisse in parete. C'è con noi anche Dante Barlascini, già soprannominato "il suicida" poichè si è offerto di essere il primo a salire sulle vecchie corde. Il problema non si pone in quanto alla base della parete vediamo che le corde fisse sono state distrutte dal vento e dall'inverno patagonico.
Non avendo materiale con noi per ricominciare da capo "Gringos Locos", lasciamo Dante con Aldo Leviti (tenteranno la "Supercanaleta" del Fitz Roy) e con Maurizio salgo sempre sul Cerro Piergiorgio una nuova linea nella goulotte del lato sinistro della Nordovest e lo sperone di roccia e misto che la divide dal versante opposto.

Primo giorno, nella goulotte

Secondo giorno, sullo sperone
Sulla cresta sommitale del Cerro Piergiorgio


UN ANNO PIÙ TARDI

(articolo sulla rivista MonteBianco)

La Patagonia mi rivuole subito in azione, anche l’anno passato mi ha regalato il sole quando ero appena arrivato qui. Uno invoca il brutto tempo, la normalità in questo luogo, e puntualmente viene ricompensato con la pressione che sale vertiginosamente verso l’alto. Ma che storia è questa!
Carichi come muli percorriamo l’ormai familiare Valle del Rio Electrico verso la base della nostra montagna, quei mille metri di “ossessione” che si chiamano Parete Nordovest del Cerro Piergiorgio. Quello che vogliamo è semplicemente salire quei 4 o più tiri di corda che mancano dal punto più alto raggiunto l’anno passato sulla grande parete. Per arrivare lì dovremo, prima di ogni cosa, risalire tutte le corde che avevamo lasciato attaccate alla roccia per agevolare questa seconda spedizione. Abbiamo paura, molta paura, ed è un anno che pensiamo al momento che ci aspetta. Come saranno le corde? Ci saranno ancora dopo un anno di vento, freddo e tempeste?
Due giorni più tardi, arrivati alla base della parete ormai familiare, Il silenzio ci schiaccia.
Dieci metri dietro le mie spalle e quelle di Maurizio c’è l’inizio di “Gringos Locos”, il tempo è bello ma non siamo in parete. Per un anno abbiamo immaginato una cosa ed ora questa ha cambiato realtà: dobbiamo rifare tutto, da zero! Maurizio parla chiaro: “ti aiuto per questi venti giorni poi la finisci con qualcun’altro, tanto tu stai qui due mesi!”.
La nuova prospettiva non mi convince.
Non prendiamo nessuna decisione, la prossima mattina porterà consiglio...
Ancora due giorni più tardi, è il momento per gioire.
Quando vedo Maurizio che alza il braccio sulla cima orientale del Piergiorgio, una scarica di emozione scende dal cervello fino ai miei piedi. Siamo in cima ai nostri pensieri di quest’anno. Ci siamo arrivati da un’altra via ma siamo in cima, e qui capisco quanto è importante una “Cumbre” in Patagonia. Me lo dicevano tutti gli amici: “Vedrai che arriverai in vetta!”. E alla fine, nonostante questo punto non sia il termine di “Gringos Locos”, non sia la vera vetta ma sia solamente l’inizio della cresta sommitale, la loro previsione si è rivelata azzeccata. Siamo saliti per due giorni lungo un nuovo itinerario che racchiudeva tutti i tipi di terreno che si incontrano in alpinismo. Il ghiaccio e il misto hanno fatto da padroni il primo giorno, quando abbiamo superato uno stretto e claustrofobico canale incassato tra il Cerro Piergiorgio e il Cerro Pollone. Una vera doccia! Il sole scioglieva il ghiaccio e la neve della forcella, che si scaricavano in continuazione su di noi. Sbucati alla forcella, abbiamo asciugato tutti i nostri vestiti, ammirando lo spettacolo della parete Nord del Fitz Roy davanti a noi. Una breve salita serale sull’anticima del Cerro Pollone, un ottimo bivacco stellato e poi, alle prime luci dell’alba, siamo ripartiti sulla nostra montagna. Lo Sperone Nordest andava dapprima superato per rocce e canali ghiacciati nonché placche di granito compatte. Un breve tratto facile, poi, con il maltempo che faceva capolino all’orizzonte, era la volta dei tiri finali, uno di ghiaccio e due di roccia, fin sotto il piccolo fungo di ghiaccio sommitale. Ed ora siamo qui, abbracciati e commossi. E’ strano che una cima mi commuova, soprattutto quando ho molta voglia di scendere e di scappare dalla tempesta che è in arrivo. Ma questa non è una cima, è “la” cima, quel luogo inospitale e freddo che tanto ho cercato di afferrare nei miei pensieri di questi mesi passati.
In discesa, ripercorriamo in corda doppia tutta la via di salita fino alla forcella. Da qui, non vogliamo che il divertimento finisca e per questo decidiamo di rientrare al campo base con un’epica traversata sotto il Fitz Roy. Già dopo cinque minuti siamo nei casini, quando siamo obbligati a scendere per un pendio di neve poco stabile (meglio dire “instabile”). 10 tiri di corda in discesa, lunghi 25 metri e assicurati da una piccozza piantata nella “farina”... Poi ecco il secondo divertimento: cinque minuti di preghiere per gli enormi seracchi sopra la nostra testa, nella speranza che non decidano di seppellirci qui... Ed infine la cigliegina sulla torta, l’eterna traversata sotto al Fitz Roy e l’ancor più eterna risalita al Passo del Quadrado, ultimo ostacolo prima del campo base. Sono solo 400 metri di dislivello che percorriamo in circa 3 ore, battendo la traccia nella neve più odiosa che si possa desiderare. All’una di notte abbiamo valicato il passo e raggiunto la fine della neve. Mancano due ore al campo base; pioviggina, tira vento, siamo bagnati ma la stanchezza ci chiama. Basta un minuto per chiudere occhio, sognando il materasso di casa mia, un po' meno duro di questa lastra di granito.
La mattina successiva siamo al campo. 
Fine del divertimento.




Pronti per la cena di Natale

Paolo Cavagnetto prepara gli gnocchi
Con Roby Giovanetto alla cena di Natale della Piedra del Fraile

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